Dopo il successo delle prime due serate, la “Filosofia al bar” era ormai diventata un appuntamento irrinunciabile. Quel venerdì sera, il cartellone appeso all’entrata del “Bar La piazzetta” recitava:
“La caverna di Platone: Che cosa vediamo davvero?”
Riflessioni sulle ombre e la realtà, tra ieri e oggi.
Marilena per questa serata aveva eliminato i tavoli e disposto le sedie a semicerchio: si aspettava più gente, perché Platone era un nome abbastanza noto anche a chi non si interessava abitualmente di filosofia. Guido e Ernesto erano già sul posto, intendi a sistemare alcuni fogli. Domenico ciondolava tra i tavoli con il suo solito quaderno di appunti.
Alle otto in punto, i partecipanti avevano riempito il locale. Alcuni volti erano familiari, ormai habitué della “Filosofia al bar,” altri nuovi, incuriositi anche dal titolo dell’evento.
Con il consueto colpo di cucchiaino sul bicchiere, Marilena diede il via alla serata:
«Benvenuti signore e signori! Questa sera parliamo di Platone, uno dei padri della filosofia occidentale. Ci focalizzeremo in particolare sulla sua famosa “Teoria della caverna”, un mito che ci spiega come gli uomini, se non cercano la verità, finiscono per vedere solo “ombre”, scambiandole per la realtà. Lascio la parola a Ernesto e Guido!»
Ernesto prese la parola e, con tono pacato, spiegò il mito in modo semplice:
«Nel libro VII de La Repubblica, Platone racconta di alcuni uomini incatenati fin dalla nascita in una caverna, costretti a guardare solo la parete di fronte a loro. Su quella parete si riflettono ombre, proiettate dal fuoco che brucia alle loro spalle, mentre altri uomini, nascosti alla vista, muovono oggetti dietro di loro.
Per i prigionieri, quelle ombre sono l’unica realtà possibile, perché non hanno mai visto altro.
Ma se uno di loro si liberasse e si voltasse, resterebbe sconvolto. E ancora di più se uscisse dalla caverna e scoprisse il mondo reale. All’inizio sarebbe accecato dalla luce, confuso. Ma poco, a poco, abituandosi, comprenderebbe che ciò che vedeva prima erano solo illusioni. E scoprirebbe una verità che non avrebbe mai potuto immaginare.»
Un mormorio di comprensione si levò nella sala. Guido, intervenne con il suo consueto piglio didattico: «Esatto. Ora supponiamo che uno dei prigionieri si liberi ed esca fuori dalla caverna. Vedrebbe la realtà e si accorgerebbe che quello che vedeva sulla parete della caverna erano solo ombre, create volutamente da manipolatori. Ma se lui ritornasse nella caverna e raccontasse ai suoi compagni cosa ha visto fuori, non verrebbe creduto.
Con questa metafora Platone ci avverte che se restiamo “prigionieri” delle nostre percezioni limitate, o delle opinioni e illusioni create da altri, non conosceremo mai la verità. Il filosofo, per Platone, è colui che riesce a liberarsi e a vedere il mondo reale, per poi tornare dai prigionieri e aiutarli a liberarsi, anche se spesso non sarà creduto e pure osteggiato.»
A quel punto, Domenico prese la palla al balzo: «Già, e parlando di “caverne”, non possiamo ignorare che oggi molte persone vivono in una “caverna digitale”: guardano lo schermo di un telefono o del pc e finiscono per credere a tutto quello che passa sul web o sui social, come se fossero ombre proiettate sulla parete.»
La sala reagì con esclamazioni di assenso. Sara, l’estetista, intervenne:
«Infatti, sui social c’è di tutto: fake news, filtri fotografici, vite patinate che spesso non rispecchiano la realtà. E molte persone ci cascano, convintissime che quelle immagini siano vere. È una “Caverna 2.0”, potremmo dire!»
Ernesto sorrise: «Esatto! Mentre Platone pensava alle ombre sulla parete, oggi le ‘ombre’ sono su un display. E se non sviluppiamo uno spirito critico, rischiamo di restare incatenati lì, ignari di quanto sia diversa la realtà.»
Volendo fornire un aggancio matematico, Guido fece un parallelo con le proiezioni in geometria: «Non so se l’avete mai studiato, ma in matematica esiste la cosiddetta ‘proiezione ortogonale’, che è una mappa di un oggetto tridimensionale su un piano bidimensionale. Se una persona vedesse solo la proiezione e non fosse mai uscita nel mondo tridimensionale, finirebbe per credere che la realtà sia fatta di linee e figure piatte, ignorando la profondità.»
Qualcuno tra il pubblico fece un cenno d’approvazione, riconoscendo l’esempio che collegava l’idea di Platone alla dimensione geometrica. Guido continuò: «Allo stesso modo, i media digitali, i social e i contenuti online, spesso semplificano o distorcono la realtà manipolandola, facendoci vedere una ‘proiezione’ comoda da consumare rapidamente, ma non necessariamente vera.»
A quel punto, la discussione si fece vivace. Alcuni sostenevano che Internet fosse uno straordinario strumento di libertà, altri ribattevano che fosse una fonte di disinformazione se usato senza spirito critico.
Luca: «Io sono uno di quelli che ha imparato a usare il tablet da poco. Mi rendo conto che su YouTube o sui social si trovano anche belle cose, ma spesso gente senza competenze si improvvisa esperta. E tanti ci credono, senza controllare le fonti. Ormai tutti sono dottori, ingegneri e maestri di vita.»
Marilena, dal bancone, commentò scherzosamente: «Se Platone fosse vissuto oggi, avrebbe scritto “La caverna digitale” o, meglio, come diceva Sara “La caverna 2.0”. E i filosofi di oggi chissà quante catene dovranno spezzare, non solo quelle fisiche, ma anche quelle virtuali!»
L’ilarità generale stemperò un po’ la discussione, ma il tema era sentito da tutti: quanti di noi, ogni giorno, prendono per buono quello che leggono su uno schermo, senza mettere in dubbio e verificare la fonte?
Dopo circa un’ora di scambi, Ernesto propose di condensare alcune riflessioni.
La lezione di Platone:
· Dobbiamo sempre chiederci se stiamo guardando la realtà o solo un’ombra proiettata.
· La caverna digitale: gli schermi di pc, tablet e smartphone possono diventare la parete su cui scorrono “ombre” di un mondo filtrato e manipolato.
· Il ruolo del dubbio e del confronto: come il filosofo che si libera dalle catene, occorre uno spirito critico per uscire dalla caverna. In rete, questo significa verificare fonti, dati, veridicità delle informazioni.
Guido si unì alle conclusioni: “La matematica ci insegna che la realtà può essere ‘proiettata’ in diversi modi, e talvolta la proiezione non coincide con l’oggetto reale. Un buon ricercatore, uno studente scrupoloso o un buon cittadino, cerca di “ricostruire” la verità a partire da più punti di vista.”
Mentre la serata volgeva al termine, Luca esclamò: «Marilena adesso tocca a Luigi o sbaglio?»
«No, non sbagli. Luigi ci farà ascoltare una nuova canzone. Ernesto come s’intitola?» Chiese Marilena.
«Avevo pensato a un titolo, ma ritengo di cambiarlo con “La Caverna 2.0”, che è più bello e pertinente.» Rispose Ernesto con un sorriso rivolto a Sara.
Difatti, la canzone riprende il mito della caverna di Platone e lo proietta nel nostro presente tecnologico, interpretandolo come una metafora moderna.
Al termine della performance di Luigi, Luca rompe il silenzio: «Canzone stupenda che centra e sintetizza quanto abbiamo discusso questa sera. Ernesto, tu e Luigi ogni sera ci relegate momenti magici e vi ringrazio di cuore.»
Un lungo e caloroso applauso da parte di tutti seguì alle parole di Luca. Subito dopo Marilena annunciò che il prossimo appuntamento avrebbe riguardato una filosofia ancora diversa, lasciando la curiosità nell’aria, ma il giorno dopo avrebbe appeso la locandina al bar, così da dare il tempo a chi volesse di prepararsi.
«Però, prima di congedarci Luigi ci farà ascoltare un’altra canzone.» Aggiunse Marilena.
Quelli che si erano alzati subito si sedettero e Luigi poté iniziare a cantare. Al termine rimasero tutti piacevolmente stupefatti. La canzone “Il seme della Gentilezza” prendeva spunto da un dibattito di qualche giorno prima al bar e interpretava fedelmente quanto si era discusso. Qualcuno chiese chiarimenti a Ernesto che così esordì: «La canzone l’abbiamo scritta dopo l’incontro della settimana scorsa qui al bar.
Attraverso le voci dei protagonisti, il brano racconta come la rabbia spesso nasca da insoddisfazioni e incomprensioni, ma anche come un piccolo gesto possa cambiare il clima di un dialogo, un ambiente, persino un’intera comunità. La gentilezza non è debolezza, ma una forza capace di disinnescare i conflitti e avvicinare le persone.
Il ritornello è un invito a intraprendere la strada del rispetto, a usare le parole come ponti anziché come armi, a credere che un sorriso o un ascolto sincero possano fare la differenza. È il seme che, piantato nel terreno giusto, può fiorire in qualcosa di grande: un cambiamento vero, che parte dalle piccole cose ma può arrivare lontano. Perché il mondo ha bisogno di meno urla, più silenzi e, soprattutto, più ascolto. La gentilezza è il seme che può lenire il dolore e può cambiare in meglio le relazioni di un’intera comunità.»
Qualcuno urlò: «Ernesto sei un grandeee!»
«Grazie dell’apprezzamento e grazie a Luigi! Lui riesce a trasformare i miei pensieri in poesia e poi in canzone. Luigi vuoi aggiungere tu qualcosa?»
«Certo! In una canzone come “Il seme della gentilezza”, la musica non è solo accompagnamento: è terra fertile. Accoglie le parole come semi e li fa germogliare nell’anima di chi ascolta. Ogni nota è una carezza, ogni accordo è una promessa sussurrata. La melodia veste i versi con pudore e bellezza, li solleva dal quotidiano e li fa vibrare in uno spazio sospeso, dove il cuore può riconoscersi. Le parole, strette in un abbraccio, smettono di essere semplici suoni: diventano gesti, memorie, possibilità. E quella gentilezza di cui si canta… non resta un’idea, ma si fa presenza, si fa luce, si fa invito a seminare anche noi, ogni giorno, un frammento di bene.»
Un lungo ed emozionato applauso esplode nella sala. Marilena e Flavia si stringono con affetto e riconoscenza a Ernesto e Luigi a nome di tutti.
La canzone, registrata, avrebbe fatto il giro del paese e tutti, ormai, erano più che convinti che il paese avesse dato i natali a una coppia formidabile.
Le canzoni, Ernesto e Luigi le componevano a quattro mani, ciascuno con il suo dono. Ernesto era la scintilla: lanciava l’idea, ne delineava il senso profondo, affidandolo alla prosa. Luigi, come un artigiano della parola, raccoglieva quel materiale grezzo e lo plasmava in versi, dando forma poetica al pensiero.
Poi, come per magia, la poesia si faceva melodia. E così nasceva una canzone.
Ernesto e Guido, soddisfatti dal clima di partecipazione, si scambiarono un sorriso complice mentre aiutavano a spostare le sedie. L’idea di confrontare la caverna platonica con il mondo digitale aveva toccato corde profonde negli abitanti del paese, che mai si sarebbero aspettati di parlare di fake news e ombre antiche nella stessa serata.
Quando le luci del bar si fecero più soffuse e gli ultimi avventori uscirono, nel silenzio della piazza rimase l’eco di una discussione che, per molti, avrebbe continuato a risuonare: siamo davvero liberi di scegliere se restare nella “caverna” o cercare la luce e la verità del mondo reale? Ma la vogliamo veramente questa libertà? Oppure, siamo abbastanza maturi per meritarcela?
Prima di proseguire l’esplorazione di altre teorie filosofiche, vediamo di conoscere meglio i protagonisti di questo romanzo.